giovedì 24 settembre 2009

Il caso Moro

In questi giorni sulla stampa italiana sono usciti due articoli estremamente interessanti, inerenti il caso Moro.

Il primo, intitolato “Lo psicologo: Moro non era un pauroso”, è uscito su Avvenire e recensisce un libro dello psicologo Rocco Quaglia (“Due volte prigioniero. Un ritratto psicologico di Aldo Moro nei giorni del rapimento”, ed.Lindau) che rilegge le famose lettere dal carcere di Moro non in chiave storica o politica ma psicologica, per capire chi fosse il Moro prigioniero e quale fosse il senso delle sue lettere.
Per chi non avesse mai letto queste lettere, consiglio vivamente la lettura di un altro libro sulle lettere di Moro uscito un anno fa, “Lettere dalla prigionia” dello storico Miguel Gotor (ed. Einaudi) che tratta lo stesso tema in chiave squisitamente storica.

Il secondo, intitolato “'Io boss, cercai di salvare Moro”, è uscito su L’Espresso e riporta una scioccante intervista al pentito della 'ndrangheta Francesco Fonti (lo stesso che ha recentemente rivelato il caso delle navi di rifiuti nucleari affondate al largo delle coste del Sud Italia) che rivela come, su richiesta di parte della Democrazia cristiana, cercò la prigione di Aldo Moro durante il suo rapimento - entrando in contatto con il Sismi, la banda della Magliana, Cosa Nostra e addirittura il segretario Dc Benigno Zaccagnini - fino a quando gli fu chiesto di desistere perché “da Roma i politici hanno cambiato idea: dicono che, a questo punto, dobbiamo soltanto farci i cazzi nostri”.

Queste tre fonti insieme rivelano un quadro tanto scioccante quanto accessibile agli occhi di tutti, non solo sul funzionamento della politica e della società italiana, ma anche e soprattutto sulle dinamiche di costruzione e/o distruzione di un uomo, di un progetto, di una storia.


L’introduzione al libro di Rocco Quaglia riportata nell’articolo (il libro ancora non l’ho letto) sviscera il modo in cui diversi esponenti politici di allora – e dietro loro input larga parte dell’opinione pubblica - abbiano letto le lettere di Moro in una chiave del tutto distorsiva. L’insistita richiesta di Moro allo Stato e alla DC di intavolare una trattativa per lo scambio di prigionieri è stata di volta in volta letta come frutto del cedimento dell’uomo al terrore della morte o del condizionamento psicologico dei carcerieri. Già il libro di Gotor metteva in luce che la richiesta di Moro era politicamente sensata, basata su ampi precedenti nella politica nazionale e internazionale e soprattutto sostenuta da un argomentare lucido, razionale e sottile come non mai, con ciò dissipando l’idea di un Moro “plagiato”. Gotor tuttavia, da storico serio e rigoroso, esplicitamente dice di non volersi addentrare in questo tema, non di sua competenza, ed altrettanto esplicitamente sceglie di non addentrarsi nella ricerca delle responsabilità della morte di Moro, per non aprire il sarcofago di tante teorie complottiste sulla recente storia d’Italia.

Ora la prima mancanza viene colmata dal libro di Quaglia che, ripercorrendo il contenuto e il tono delle lettere, conferma come la richiesta di salvezza di Moro non fosse animata dal terrore della propria morte, rispetto alla quale risulta anzi estremamente libero, ma dalla premura per quella famiglia di cui era perno centrale. Famiglia affettiva (moglie, figli e il nipotino Luca) e famiglia politica (una DC in grave difficoltà in quella fase). La sua non è una battaglia per la propria vita, ma per la vita della propria famiglia, del proprio paese e soprattutto per l’affermazione di quella civiltà politica e cristiana che non ha dubbi a mettere la sacralità della vita prima di una presunta e limacciosa “ragion di stato”.
In quel contesto matura il divorzio di Moro dal proprio partito, accusato non di tradire lui ma di tradire la propria anima e di non essere più né democratico né cristiano. E in quel contesto matura la risposta della DC che, messa pubblicamente a nudo dalle lettere di Moro, sceglie di mettere in discussione non se stessa ma il proprio accusatore, avvalorandone in tanti modi un’immagine di uomo piegato, plagiato, confuso e quindi delegittimandone la dignità e le parole. Moro non è più lui, non è più lo stesso uomo. “Questo intende il libro quando definisce Moro «due volte prigioniero»: delle Brigate Rosse e dell’immagine che di lui venne ostinatamente diffusa, vale a dire di una persona incapace di dominare l’emotività e preda dell’istinto di sopravvivere”.
Il libro di Gotor è concorde su questo punto e aggiunge che la distruzione politica e umana di Moro agli occhi del pubblico è stata una scelta politica esplicita e dolorosa dei vertici di allora, utile ad abbassare il valore di scambio di Moro nella trattativa con le Br per facilitarne la liberazione. Una scelta cinica e allucinante, invero, che non solo rendeva Moro un uomo morto (un ostaggio senza più valore non viene liberato ma ucciso), ma soprattutto rispondeva alle più profonde domande di Moro sull’anima dello Stato annientando la domanda e il suo latore.

Il passaggio che più mi ha colpito della ricostruzione di Quaglia è però questo:“Moro, dunque, si dichiarò «in piena lucidità e senza avere subito alcuna coercizione della persona». Protestò la sua completa padronanza di sé sia per favorire le trattative, sia per tranquillizzare la famiglia. La risposta del governo arrivò immediata e spietata: Moro è divenuto un altro, la prova è nella sua dichiarazione di sanità mentale”.

Questo è il passaggio chiave. Chi dice la verità, se la verità è inaccettabile, è semplicemente un folle. Il fatto che non lo riconosca è la dimostrazione che è folle. Così il cerchio si chiude, come un cappio, attorno alle possibilità di Moro di sopravvivere. Qualunque cosa lui dica non avrà valore. E con lui viene cancellato e reso inattendibile chiunque la pensi come lui, sia essa la famiglia, gli amici, i colleghi, tutti evidentemente intrappolati nell’istinto di protezione del proprio caro. E il messaggio diventa chiaro a chiunque attorno veda e capisca: “fatti i cazzi tuoi!”

Questo è – guarda caso – il consiglio dato al pentito di ‘ndrangheta che voleva salvare Moro, come riportato nel secondo articolo, che colma la seconda reticenza del libro di Gotor. In particolare esso conferma il sospetto, cui si allude nel libro di Gotor senza calcare troppo la mano, che Moro sia stato abbandonato e volontariamente sacrificato da una parte del mondo politico di allora su un altare di convenienze vaste. Il punto chiave è quando il pentito - chiamato dalla DC per aiutarli a trovare Moro, entrato per questo in contatto con il Sismi, la banda della Magliana, Cosa Nostra e addirittura il segretario Dc Benigno Zaccagnini- quando si reca dal suo contatto ai servizi segreti per indicare il covo di via Gradoli si sente dire appunto di desistere perché “da Roma i politici hanno cambiato idea: dicono che, a questo punto, dobbiamo soltanto farci i cazzi nostri”. Che questa sia la situazione lo conferma la dichiarazione di un appuntato che collabora alle ricerche, secondo cui “Non distinguo più tra chi mi vuole aiutare e chi cerca di farmi girare a vuoto. In più c'è la guerra politica, con i socialisti che vogliono vivo Moro, e gran parte della Dc che finge di volerlo liberare”. Certamente c’è stato qualcuno che ha voluto liberare Moro e probabilmente all’inizio non erano pochi…ma le cose sono cambiate quando Moro ha messo lo Stato e la DC di fronte al proprio vuoto, al simulacro di giustizia che interpretavano, quando in sostanza il bambino ha detto che il re è nudo. La loro sconfessione da parte di Moro è esplicita nelle stesse lettere di Moro, che preannuncia le proprie immediate dimissioni dalla DC.

Perché ho parlato di tutto questo?

Perché è un tema che personalmente mi interessa molto.

Perché è un tema importante per la vita collettiva nazionale.

E perché credo che sia sintomatico di come si possano manipolare e strumentalizzare l’opinione pubblica, sacrificando le persone, distorcendone le idee e distruggendone l’immagine, manipolando abusando e deviando il lavoro dei servitori dello Stato, allo scopo di far prevalere una tesi. Non intendo fare un paragone di livello ma di metodo, quando dico che un lavoro simile è stato fatto in questi tre anni nella vicenda Arkeon.

Quando leggo dell'accusa di plagio o connivenza mossa ai vari sostenitori convinti per quanto critici di Arkeon, non posso non pensare che funziona come quella stessa mossa a Moro di non essere più lui.

Quando leggo che la polizia aveva fatto "un primo sopralluogo in via Gradoli 96, perquisendo tutti gli appartamenti tranne quello affittato dalle Br, dove l'inquilino non ha risposto al campanello e gli agenti se ne sono andati", non posso non pensare alle dichiarazioni di quel dirigente della Procura di Bari che diceva di non poter infiltrare personale nei seminari di Arkeon per raccogliere prove effettive e conclusive delle accuse mosse.

Quando leggo che “Moro è divenuto un altro, la prova è nella sua dichiarazione di sanità mentale”, non posso non pensare alle argomentazioni del PM secondo cui il costituirsi di Arkeon come associazione registrata è la prova dell’associazione a delinquere. O alla terra bruciata che la Tinelli e i suoi affiliati hanno tentato di fare attorno a chi cerca di passare un’altra verità denunciando alla polizia i commentatori esterni (DiMarzio, Radoani, Martini), cercando di zittire chi parla in favore di Arkeon (la segnalazione al PM da parte della Tinelli di Fabia, la richiesta di intervenire a zittire i blog di Pietro e Cosimo) e provando a screditarli preventivamente presso terzi (basti l’intervento n° 22 sul blog di Risè che dice “Sudorepioggia, cosimo, pietro … sono tutti membri di Arkeon che sponsorizzano solo gli aspetti positivi, ribaltando volutamente la realtà”...senza neanche entarre nel merito).

Ma soprattutto non riesco a non pensare che come la distruzione politica e morale di Moro (che ha portato alla sua morte) è stata funzionale a sotterare con lui le domande che aveva posto alla DC e allo Stato dal carcere, allo stesso modo la distruzione giuridica (per ora solo tentata) e morale di Arkeon (che ha portato alla sua morte) è funzionale a proteggere un complesso di indagini svolto fino ad oggi a senso unico, senza mai sentire gli indagati, senza mai verificare l’esistenza dei movimenti finanziari che sarebbero dovuti derivare da questa presunta associazione a delinquere e che nivece non ci sono, senza mai verificare la credibilità di testimoni e consulenti discussi e discutibili.

Cui prodest, ognuno lo valuti da sé.

3 commenti:

  1. Interessante il paragone, grazie. Direi che - seppure come tu dici ovviamente non riguarda il livello, ma il metodo - a me sembra anche che riguardi l'obiettivo: con la persona far sparire quello che aveva da dire.
    Ciao e a presto.
    Fioridiarancio

    RispondiElimina
  2. Provo a dirti con molta amarezza e colgo l'occasione per specificare chiaramente che il primo giorno che cominciai a scrivere, non senza paura (era la prima volta nella mia vita)in publico, la mossa dentro era: "cavoli,io veramente, riconosco poco quello che ho vissuto, in Arkeon!Perchè dare dei detagli abberanti e distorti su cose completamente diverse ?" Dicevo anche che questo lo facevo per me, per quello che io sentivo dentro di me, per le cose abberanti che leggevo troppo spesso, per rendermi conto che chiunque parlase diversamente veniva agredito, zittito, con minacce e quant'altro. Molte volte io ho creduto che fossimo in uno Stato libero, al meno per le proprie opinioni e scelte. Mi sono resa conto, dopo la fine che ha potuto fare un mia Mail PRIVATA; mi è arrivato la mancanza di onestà da parte di chi in Italia la diede e senza il permesso del Sign. Griess (che mi confermò per via privata). Dunque la coscienza resti a choi si è permesso di fare questo, una persona che si dice professionista; nel mio lavoro passato, le cose private dei clienti le tenevo private e mai usate per propri scopi e quant'altro. Sarà che la professionalità, viene intesa diversamente !
    Poi, credere ancora che sono poco capace di intendere e volere e che qualche d'uno mi detta o mi a dettato cosa fare, mi fa' ridere.
    Io sono cosi, nel bene e nel male, mi è stato insegnato dai miei genitori e miei avvi, che il confronto è sano e chi a poca capacità di accetare questo nella vita, a forse molto da chiedersi, quanto sia capace di maturità.
    Poi questo vizzio oggi, di prendere e denunciare per qualsiasi cosa, lo vedo come infantile, personalmente. Dovesse dennunciare tutte le persone che mi hanno derubata, insultata, additata, sarei migliardaria oggi !
    Piutosto mi hanno fatta crescere sotto un punto debole; la fiducia in me stessa, quella che a volte fin troppo mi ha resa schiava.

    P.S.: l'altra sera ho visto un programma sul uomo che ha scritto Gomorra; dopo tre anni ho sentito i giovani ciò che ancora pensano di lui e mi ha fatto capire quanto le persone vivano in certi ambienti e la mentalità che si mantiene, del silenzio, dell'omertà e dunque notare la paura della semplice verità. Poi sapere e ascoltare che l'Italia è il secondo stato nel mondo, dopo la Colombia ad essere obligati di proteggere persone, giornalisti,giudici,etc, che decidono di parlare dell'evidenza stessa, mi ha sbalordita.
    Veramente questo e altro che un complimento !
    Poi taccio, ultimamente sono stuffa delle solite......
    Un abbraccio,
    F.

    RispondiElimina
  3. Ups, scusa, ho scritto che la fiducia in me stessa mi ha resa schiava....?
    Direi piutosto la mia poca fiducia in me stessa, la mia spontaneità, spesso rimproverata e rinchiusa in un cassone !
    Scusa del lapsus.
    F.

    RispondiElimina