giovedì 10 settembre 2009

Il destino e la ricerca

Mi ha molto colpito, oggi, leggere il post di S&P sul destino di un uomo e poi quello di Raffaella Di Marzio sulla testimonianza di un uomo dal destino incredibile. In simultanea tra loro. E in sintonia coi pensieri che agitano questi miei ultimi mesi, in cui mi interrogo sul senso della mia vita.

Il senso che so darle? O quello che so accogliere?

Sono convinto che ciò che ho nel cuore ce l’ha messo Dio, per cui in astratto non c’è contraddizione. Ma in concreto? Nel cuore c’è anche tanta roba che non c’ha messo Dio ma a cui probabilmente tengo molto: desideri, ambizioni, paure, idee fisse. Possono entrare in conflitto?

E se poi capita, come capita, che la tua spinta – anche quella che venisse da Dio – ti porta apparentemente in un vicolo cieco? Se i tuoi desideri, i tuoi talenti, ciò che più intimamente senti di essere e di poter dare improvvisamente sembra esserti precluso? Dio fa anche questi scherzi! Certo, col senno di poi è tutto chiaro…ma prima? Ad Abramo chi glielo spiegava perché dovesse sacrificare Isacco?

Non è questione di voler fare la volontà di Dio perché si è bravi ragazzi. Né è questione di cercare di “ridurre il dolore” accettando i rovesci della vita. Chiunque abbia sperimentato anche solo una volta che la vita sa nascondere grandi rinascite dietro grandi sconfitte, al solo patto di saper “mollare la presa”, sa che è più semplicemente questione di essere in pace con se stessi e quindi con gli altri…di andare incontro alla vita per ciò che si è ma lasciandosene anche plasmare.

Mi colpiva molto quando S&P distingueva tra la maggior facilità di accettare le implicazioni del destino di padre e la difficoltà di accettare le implicazioni del destino di uomo. Forse, mi viene da pensare, perché il primo ti porta oltre te stesso e restituisce un senso più grande e più vero alle cose…mentre il primo in qualche modo si compie nella propria solitudine, nella sfida di conoscere se stessi trascendendo se stessi.

Non ho risposte per questo, non per me e quindi per nessuno.

L’unica cosa che so è che nella mia vita, quando ho toccato questi punti di “crisi”, ho sempre sentito di dover cercare dentro di me passando attraverso l’esperienza dell’altro, dell’incontro col diverso.
Questa, per me, era l’esperienza di Arkeon. Che veniva da prima di Arkeon. E che continua dopo.
E’ l’esperienza di essere umano. Di sollevare una domanda…e non deporla.

2 commenti:

  1. Ciao Klee, quando leggo un post come il tuo, mi domando cosa pensavano - cosa pensano -, cosa bramano, di distruggere le persone che si sono mosse - ex e non ex - con tutto l'odio che conosciamo, contro Arkeon. Io credo che volessero distruggere questo, più ancora delle forme, che volessero distruggere il percorso, o meglio la possibilità di ciascuno di un percorso. Di quella navigazione in mare aperto dove segui la stella polare, chiedendoti, almeno a volte, se è davvero la stella polare e se davvero vuoi seguirla. E anche perché navighi e anche chi ce l'ha messa la stella polare. E di sicuro le mappe sono scarse e carenti, e molte già buttate a mare. Ce l'hanno con questo mare, che si chiama libertà. Grazie, S&P

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  2. Caro S&P, lo credo anch'io.
    Chi - in buona fede - avesse creduto che Arkeon potesse essere un percorso pericoloso perchè "non professionalizzato", avrebbe agito in altra maniera: certamente non dando in pasto a media e tv le persone. Così non è stato.
    E basta leggere la rabbia, la ferocia, la sconclusionata scompostezza di certi interventi per capire che la molla di tutto ciò è l'odio per la libertà altrui. L'odio per chi prova da uscire dal guscio ossessivo di persecuzione e conflitto in cui costoro si sono rinchiusi.
    Il loro obiettivo è STERMINARE, gettare il sale perchè nulla più ricresca.
    Curioso che alcuni di costoro siano.... "professionalizzati"!

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