lunedì 4 maggio 2009

I portatori del fuoco

La conclusione del mio ultimo post mi ha fatto ripensare a un libro che ho letto recentemente “La strada” di Cormac McCarthy. E’ la storia apparentemente disperata di un padre e un figlio sopravvissuti a un olocausto nucleare, che vagano in cerca della sopravvivenza. E il padre – che a differenza del figlio ha conosciuto il mondo “prima” – dice sempre al figlio “noi portiamo il fuoco”. Con questo – mi sembra di capire - intende una condizione che diventa quasi una responsabilità: questo siamo, questo dobbiamo fare, a dispetto delle circostanze.

La storia, ripeto, è disperata rispetto al senso comune di ciò che può essere la speranza. Eppure non è disperata. Il finale mostra una possibilità che non è un lieto fine, che non è una speranza, ma che è un senso. Un senso possibile delle cose. Quel senso che – ma qui sono io che parlo, non McCarthy - è come il tappeto: visto da sotto appare puro caos, visto da sopra mostra un disegno; e per vederlo devi andare fino in fondo, senza pretendere di comprenderlo prima. La chiamano fede.

Recentemente ho letto un altro libro di McCarthy, “Sunset Limited”. A differenza de “La Strada”, è un libro a tratti esilarante, grottesco, teatrale. Eppure condivide lo stesso schema: bianco/nero. vita/morte, gli estremi a confronto senza alcuna ambientazione, senza narrazione, la riduzione della vita ai suoi estremi opposti. Ciò che trovo grande in quest’autore, anche se di una grandezza difficile da portare, è il profondo rispetto per la realtà e per l’uomo, in tutte le sue possibili e contraddittorie espressioni. In ogni suo libro rifugge dalla tentazione di dare una risposta. Di indicare una via d’uscita, o la sua scelta. Affianca le due alterative e le mostra con la spietata immediatezza della verità. Da una parte la mancanza di senso. Dall’altra la possibilità di un senso, mai detto, mai colto, ma percepito, intuito: qualcosa che non so spiegare se non come la mia esperienza dell’eucarestia, che da anni prendo ogni domenica pur senza riuscire a comprendere il significato, pur senza riuscire a viverne la profondità, ma sentendo che non posso rinunciarvi senza aver perso qualcosa.

Detto altrimenti, non offre risposte - che videntemene non ha - ma le sue domande. Questo, per me, è un maestro. E un uomo.

Allora a chi piace consiglio:
- Cormac McCarthy, 2006, “Sunset limited”, Einaudi, 10 € (si legge in un’oretta)
- Cormac McCarthy, 2006, “La strada”, Einaudi, 17 €

2 commenti:

  1. Premetto che non ho mai letto ninte di McCarthy. Quando mi trovo di fronte ad autori che ti portano in questa "dimensione" ammetto che mi perdo. Ne apprezzo la grandezza, la capacità di mostrare la vita e l'animo umano, ma poi mi schiacciano prorpio perchè offrono un "tutto" dove etichettare e incasellare eventi e personaggi diventa impossibile. Alla fine non trovo più il confine tra la mia vita, la storia del libro e l'autore e continuo a pensarci per settimane e settimane finchè, pian piano le cose tornano normali e un insegnamento nuovo si deposita in una parte di me su cui però non ho un controllo razionale.
    Perdona la confusione del commento, ma è proprio quello che mi sta succedendo in questi ormai tanti giorni dopo aver finito "Venuto al mondo" di Margaret Mazzantini.
    Ciao e a presto.
    Fioridiarancio

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  2. ç Fioridarancio. In effetti è quello che succede anche a me. Nel io caso è un "perdermi" che cerco, proprio perchè di mio tendo a darmi dei confini e un'identità fin troppo netti. E' un po' la stessa spinta che mi ha avvicinato ad Arkeon, la spinta ad uscire da un confine per verificare se in effetti i miei veri confini non siano più ampi, diversi da quelli che ho accettato o costruito negli anni.

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