domenica 26 aprile 2009

La responsabilità del custode




Questo week end abbiamo partecipato al matrimonio di una parente. Nell’insieme classico e – triste dirlo – piuttosto noioso, mi ha colpito il prete: uno spagnolo sui sessant’anni, magro, sanguigno, che ha detto poche cose, come pietre.
Ha riassunto in pochi semplici concetti il senso di essere sposi, le cose che fondano e mantengono vivo negli anni un matrimonio: l’amicizia tra gli sposi, una cosa che ogni giorno di più scopro con mia moglie quando le confesso che lei è certamente la mia migliore amica; la trasparenza, come una pratica di condivisione e rigenerazione quotidiana della fiducia e dell’aiuto reciproci; e l’umiltà, di accogliere ciò che la vita porta senza pretendere di dominarla.
Diceva le cose con semplicità e fermezza, guardando i due sposi con occhi profondi, come un padre che desse le ultime raccomandazioni ai figli sulla soglia di casa. Me lo vedevo intento, con una mazza, a piantare i picchetti attorno a questa giovane coppia per dare loro fondamenta solide, per difenderla: dalle bordate della vita, dalle proprie debolezze, dalle illusioni. Ho sentito – devo dire “per una volta” – un prete che si è preso la responsabilità di custodire la verità e le persone, dicendo cose anche scomode. Come quando ha detto “e mi raccomando, le famiglie se ne stiano fuori. Ho visto più matrimoni fallire per i suoceri e le suocere che per problemi tra gli sposi”.
Oooh, l’ha detto! Finalmente un prete che dice quello che c’è scritto nel Vangelo (per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre) senza indulgenze, senza giri di parole, additando chiaramente il lato scomodo da dire ma che c’è e se non detto agisce. Lui si è preso la sua responsabilità e con lui – ora che è stato detto - se la prendessero anche i genitori. E per dare il metro, ha raccontato del suo ultimo incontro con la madre ottantenne, che sulla soglia di casa mentre lui la salutava, evidentemente per l’ultima volta, vedendolo piangere gli disse: “I figli che ho fatto sono di Dio, mica miei: vai!”
Ma la cosa che più mi è piaciuta e mi ha colpito è stata l’ultima. “Quando avrete dei problemi - ha detto - non andate dai genitori, né dagli amici o dallo psicologo o da altri. Andate lì, di fronte alla croce, insieme”. Insieme, di fronte a Cristo crocefisso. Lì troverete le risposte che vi servono. Non da altri, non da specialisti, non da consiglieri. Anche voi, soprattutto voi, prendetevi la vostra responsabilità: quando vacilli, non andare a cercare vie di uscita, “stacci dentro”, insieme, e attraversa la tua tempesta con la fedeltà nel cuore. Verso tua moglie (tuo marito) come verso Dio.
Ognuno di noi è custode.
Immagino che qualche specialista avrebbe da ridire sui consigli di questo prete: se hai un problema vai dallo psicologo, non davanti alla croce! Credo però che il senso fosse un po’ meno letterale e un po’ più profondo. Vai dove vuoi, ma non dimenticarti di andare di fronte a te stesso. Non dimenticarti di farlo con tua moglie. E non cercare di aggirare la prova, perché quella è tua, non c’è niente da fare. Abbi fede in te stesso e nella vita, non affrontarla come una malattia da curare ma col coraggio di viverla. Tu sei il custode della vita che ti è stata data, tu sei l’unico che può portarla a completezza, scoprirne il mistero, svelarne il risvolto imprevisto dietro l’apparente sconfitta. Tu sei l’unico che può risorgere dalla tua morte!
Mi torna in mente la scena finale de “L’Ultimo samurai” in cui il samurai, che sta morendo nella sua battaglia apparentemente assurda, per rispondere alla domanda che si era posto “come sono i fiori di ciliegio” dice sorridendo “sono tutti perfetti”.

3 commenti:

  1. Di sacerdoti - come di esseri umani - pronti a prendersi il malumore dei genitori, lo sconcerto degli sposi credo ce ne siano pochi. Sono quei pochi cui, credo, importi poco o nulla dell'approvazione, che hanno accettato una sorta di solitudine - che, nel caso di questo sacerdote, mi spiego con le parole di liberazione di sua madre. Non appartieni a tua madre, ma a Dio - e a lui devi rendere conto. Per cui onorare la madre diventa dire la verità, e i risultati si vedono.
    E'interessante, poi, nel racconto del sacerdote, che gli psicologi e i consiglieri vari si contrappongano alla Croce. Quando anche quelli dovrebbero riportare le persone a se stesse e a ciò che è vero per loro: evidentemente, non accade. Si preferisce evitare il contropelo.
    L'ultimo spunto riguarda il senso del matrimonio, ma, come dici giustamente, della vita. E'un appagamento di un bisogno, oppure un viaggio fortunatamente da fare in due? Ci ritroviamo in due - marito e moglie - su questa barchetta che è il nostro amore ad affrontare i marosi della vita, con tutte le nostre debolezze e contraddizioni. Per questo c'è - secondo me - un nesso inevitabile tra la crisi dell'introspezione (che diventa attività illecita), della ricerca interiore, delle bussole della felicità (l'amore, i figli, i genitori, ecc), della fede e quella del matrimonio. Il matrimonio non è cosa per dilettanti - anche se per me è stata la cosa più bella della vita - ma del resto è la vita a non essere per dilettanti. Ma, salvo qualche sacerdote coraggioso, non lo dice nessuno. E se lo dice e non è sacerdote, è un truffatore.
    Ciao
    S&P

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  2. @S&P: condivido, la vita non è una cosa per dilettanti. Il che non significa che sia una cosa per profesionisti, come una certa psicologia da "assistenti sociali" sembra suggerire. La mia vita posso viverla come voglio, finchè non ledo i diritti altrui, e soprattutto posso interrogarla come voglio. Anche se questo può spaventare qualcuno o deluderne le aspettative.

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