venerdì 16 aprile 2010

Il codice Arkeon?/2


Riprendo dove interrotto l'ultimo post, venendo all’esegesi del “pensiero di Bellu”.

Il primo articolo pubblicato dall'Unità (“Da predicatore Vaticano e supporter di Arkeon”) riprende sostanzialmente il presunto scoop fatto nel dicembre 2007 da “Striscia la Notizia”, che parlò delle due trasmissioni di “A sua immagine” in cui P.Cantalamessa aveva intervistato prima Moccia nell’ambito di una puntata dedicata al tema del figliol prodigo (11/09/04) e poi una giovane coppia di Arkeon nell’ambito di una puntata dedicata al tema della famiglia (30/12/2006). L’unica novità introdotta dall’articolo è il riferimento ad alcune lettere inviate a P.Cantalamessa da famigliari di aderenti ad Arkeon preoccupati per i propri parenti, che secondo l’Unità mostrerebbero il supporto acritico di P.Cantalamessa ad Arkeon e la sua intimità con Moccia. Procederò riportando le frasi più significative e commentandole.

1. “Il predicatore dedica una puntata della sua rubrica televisiva (..) al metodo Arkeon e conduce un'intervista encomiastica a Moccia sul rapporto padre-figlio”. Basta vederla per verificare che la puntata non è dedicata ad Arkeon (mai citato) ma al rapporto padre-figlio oggetto della trasmissione. E l’intervista non è encomiastica, ma riflette banalmente l’interesse e l’apprezzamento che l’intervistatore ha per l’esperienza dell’intervistato che ha chiamato (e chi non troverebbe positiva la storia di un figlio che torna al padre dopo anni di rapporto conflittuale?).
2.“Un mese dopo a Milano, nella chiesa di S. Eustorgio, celebra una messa alla quale assistono Vito Carlo Moccia e centinaia di suoi discepoli”. Una Messa è un fatto pubblico al quale chiunque può partecipare: come chiarisce lo stesso P.Cantalamessa nella sua lettera all’Unità, «Non ho celebrato la messa per loro. Hanno chiesto di partecipare a una messa da me celebrata per la parrocchia di S. Eustorgio e sono stati accolti da me e dal parroco. Erano in 400 e hanno edificato tutti: molti si sono confessati e moltissimi hanno fatto la comunione». Il fatto di averci poi accolti in Sagrestia dopo la celebrazione mi sembra una cosa abbastanza ovvia nel momento in cui trovi un gruppo organizzato di forse duecento persone che sono venute ad assistere. A questo proposito scrive una testimone diretta, la blogger Pulvis: “Ricordo che passammo in sagrestia perché il parroco, molto ospitale, vedendo un gruppo di non parrocchiani abbastanza numeroso, ci permise di vedere le bellezze conservate lì e nei locali attigui alla chiesa. Punto.
Padre Cantalamessa stesso, di fronte alle manifestazioni gratuite (nel senso di “non derivate da qualche sua azione particolare”) di affetto nei suoi confronti ha fatto quello che avrebbe fatto ogni sacerdote (ed ogni persona di buon senso): non le ha respinte duramente ma nemmeno le ha in alcun modo incoraggiate”. Segnalo infine che la scena - riportata fotograficamente dall’Unità - non è tratta da un CD promozionale come dice Bellu, ma da un filmato privato registrato all’epoca e sequestrato dalla Digos. Aggiungo per il sig.Bellu che molti hanno parlato a sproposito di “adepti” di Arkeon, ma che lui è il primo ad oggi ad aver parlato di discepoli. Promossi sul campo da presunta psicosetta e a gruppo religioso!
3. “Una campagna di proselitismo sempre più intensa: il numero degli adepti arriverà a sfiorare la ragguardevole cifra di ventimila". La campagna di proselitismo era allora talmente intensa che ai seminari partecipavano mediamente 20 persone, vecchi allievi abituali. Sulla cifra dei 20.000 adepti già mi sono espresso nel post precedente.
4. “L’autenticità di questi documenti è certificata. Sono stati, infatti, prodotti dai legali di Vito Carlo Moccia a sostegno di un atto di citazione contro il Centro studi sugli abusi psicologici”. E’ semplicemente falso. Tali documenti non sono mai stati prodotti dalla difesa, come si potrà verificare quando le carte saranno rese pubbliche. Essendo sui computer sequestrati a Moccia, questi dati sono in mano della Digos, del PM e forse del Cesap. La domanda è come siano venuti nelle mano dei giornali non degli atti processuali ma documenti investigativi riservati.
5. L’affondo – e la novità – più forte dell’articolo dovrebbe essere in due punti. Là dove dice: “Il predicatore della Casa pontificia non si limita a difendere il capo di “Sacred path” ma si premura di informarlo della denuncia che gli è stata confidenzialmente rivolta. In calce alla lettera c’è, infatti, una nota manoscritta: «Caro Vito, ti invio una lettera che ho ricevuto e la mia risposta, perché, penso, è giusto che sia informato »”. E poi dove dice: “C’è invece (datata 19 aprile 2006) una lettera, scritta dalla stessa città, di un signore che poi è il marito dell’amica disperata della signora di Magenta. Questo signore, al pari dei due figli, ha aderito ad Arkeon o, almeno, ce l’ha in grande simpatia. E fa riferimento al contenuto della lettera inviata a Cantalamessa dall’amica della moglie. Come è potuto succedere? L’unica spiegazione è che anche questa volta Moccia sia stato informato e che abbia chiesto all’adepto di Magenta di scrivere qualcosa di rassicurante all’autorevole sponsor cattolico”. Le riposte dello stesso Cantalamessa sul punto sono assolutamente forti e chiare: “Numerose Associazioni, per i più svariati motivi, ricevono accuse e denuncie ed io pensavo che anche le accuse mosse ad Arkeon facessero parte di queste, proprio per questo motivo, avvisai Vito Carlo Moccia perché potesse rendersi conto di cosa stesse accadendo all’interno della sua Fondazione. Era sorta in me la convinzione che qualcuno dei “maestri” avesse abusato della fiducia di Vito Carlo Moccia, ma non pensavo alla negatività dell’ Associazione, perciò, in un’altra puntata della Rubrica religiosa “A sua Immagine”, intervistai una persona che aveva ricevuto dei benefici da Arkeon, ma volutamente non feci cenno alla suddetta Associazione, non per dare l’impressione di non conoscerla, come si insinua nell’articolo, ma proprio perché a me interessava solo il messaggio religioso e non fare propaganda ad Arkeon….personalmente non sono venuto a conoscenza di nessun abuso, che altrimenti sarei stato il primo a denunciare e condannare: non si denuncia, se non si è testimoni, non si denuncia solo per aver ricevuto due lettere”. Anche su questo aspetto faccio le mie le parole della blogger Pulvis che dice: “Trovo che anche con le contestate trasmissioni abbia percorso la sua strada in accordo a ciò che la sua scelta di vita gli richiede: ha preso ciò che c’era di buono e senza fare pubblicità, l’ha mostrato e l’ha usato per spiegare e portare la Parola di Dio.…E se quello che nell’articolo è scritto del carteggio è vero, ha ancora di più la mia stima: non avendo assistito a fatti e non avendo motivi né interesse per credere all’una piuttosto che all’altra parte, li ha messi in comunicazione chiamandosene fuori. Come a dire: guardi Vito Carlo Moccia che lei è in buona fede e cerca di vedere aspetti critici del suo lavoro per crescere e migliorare nel rispetto dell’altro, qui c’è qualcuno che ha qualcosa da dirle. Guardi signora, che se il suo interesse è davvero il bene dei figli della sua amica, questo è quello che ne dice il loro padre (e non si può dare per scontato che anche lui non abbia il bene dell’intelletto solo perché la pensa diversamente da lei!). E’ un modo di agire infinitamente più saggio e più corretto che quello di quei centri studi sulle sette che invece di far dialogare le parti le mettono sistematicamente una contro l’altra acuendo i conflitti e piegando gli eventi, le parole e le teorie a proprio uso e consumo. E’ lo stesso che provò a mettere in atto la dott.sa Di Marzio chiedendo di far rientrare nel suo studio su arkéon anche le testimonianze negative pervenute al CeSAP della provincia di Bari. Purtroppo la dott.sa Tinelli non acconsentì (chissà perché?) e –combinazione- dopo poco lo studio della Di Marzio fu bloccato da una vicenda giudiziaria partita ancora una volta da Bari, assurda, probabilmente montata ad arte da chissachì e (credo e spero) per fortuna ora conclusa”.
6. Infine a proposito del famoso finto scoop di Striscia la notizia sulla coppia intervistata da Cantalemssa nella seconda trasmissione, l’articolo riporta che “Interviene il garante della privacy che rivolge alla Rai e al conduttore un ammonimento per aver violato le regole deontologiche che tutelano i minori. Il bambino di Luca non solo era perfettamente riconoscibile ma, osserva il garante, ha dovuto assistere a un’intervista che riguardava «anche aspetti estremamente delicati relativi a vissuti dolorosi di uno dei genitori: gli abusi sessuali subiti da parte di un familiare»”. Su questo punto si è commesso uno dei più assurdi e grotteschi ribaltamenti della verità. Anzitutto il filmato non era un documento promozionale, come di nuovo si vuol far credere, ma documentazione interna riservata del gruppo, il che significa che la violazione della privacy è stata commessa non da i genitori o da Arkeon ma da Striscia e non solo nei confronti del bimbo ma della famiglia stessa. Quanto poi alla follia del discorso sul minore costretto ad assistere alla narrazione di vissuti dolorosi, mi chiedo se il garante abbia prima ancora che la competenza a valutare aspetti di carattere psicologico, la capacità di farlo; ma l’ha visto il filmato? Ha sentito una qualche forma di violenza o di esasperazione nella narrazione del padre? Si crede davvero che una narrazione così pacata e sincera anche di eventi intensi possa essere più violenta di tante immagini TV, liti famigliari, piccole aggressioni a scuola che giornalmente si succedono? Ma di che diavolo parliamo? Come sta secondo il garante un bimbo di tre anni a cui i genitori DEVONO spiegare che stanno divorziando? Glielo fanno spiegare dal garante per tutelarne la privacy?

Il secondo articolo di interesse (“Perizia a pagamento Ecco come Sacred Path ha cercato di ripulirsi”, Bellu, 10/4/2010) aggiunge una ulteriore novità assoluta nella vicenda Arkeon: uno studio affidato da Arkeon al CISF (Centro internazionale Studi sulla Famiglia) per la cifra di 30.000€ e finalizzato – secondo l’autore – a rifare una verginità ad Arkeon a scandalo ormai avviato. Il discorso sullo spararla sempre più grossa mano a mano che si alza il tiro qui si adatta perfettamente.
1. Il punto di fondo è già stato ben commentato sul suo blog da Baraka, che mi permetto qui di riprendere integralmente “Perizia a Pagamento, l’ultimo articolo di Giovanni Maria Bellu, sottintende una curiosa idea dell’etica e del profilo professionale di stimati studiosi. L’idea cioè che stimati e accreditati studiosi di un Centro Studi di livello internazionale siano diventati improvvisamente dei mercenari disposti a vendere un tanto al chilo il proprio nome su perizie favorevoli utili a ripulire una cricca di delinquenti. Stupefacente. Giovanni Maria Bellu se avesse voluto fare del giornalismo di inchiesta un po’ più serio e meno superficiale avrebbe dovuto prima domandarsi come è possibile che una perizia semplicemente equilibrata già esistesse e come è possibile che la Procura di Bari non l’abbia tenuta in alcuna considerazione nè abbia sentito la necessità di approfondire. Soprattutto avrebbe dovuto prima chiedersi come mai uno studio iniziato invece a titolo del tutto gratuito dalla Dott.ssa Di Marzio sul caso Arkeon sia stato interrotto a colpi di avvisi di garanzia e oscuramento del sito”.
2. “Elaborò anche un “rapporto finale” cautamente favorevole all’associazione. Si tratta di dieci paginette precedute da un avvertimento che suona come un mettere le mani avanti: «Tutto il materiale è stato fornito da Arkeon o è stato realizzato con il suo supporto tecnico”. Il CISF è un centro studi internazionalmente noto ed apprezzato, che vanta una notevole credibilità scientifica anche al di fuori degli ambienti cattolici. L’ipotesi più semplice che abbiano scritto quello che hanno visto è troppo semplice? L’ipotesi che 30.000 € siano troppo pochi per vendersi una reputazione è troppo semplice? Tra l’altro la cifra non fu neanche di 30.000 € ma di 10.000 €, perché lo studio fu interrotto ad un stadio intermedio.
3. “La disponibilità e l’apertura totale dimostrate da tutte le persone di Arkeon implicate nella ricerca sono state pronte e totali, ed hanno consentito un lavoro rapido e, a noi pare, proficuo»”. Un lettore anche solo appena attento a ciò che legge coglierebbe che questa frase stride fortemente con i tratti tipici di una setta o di un’associazione a delinquere, che tipicamente è abbastanza chiuso verso l’esterno. In effetti lo stesso Dr.Schimera dell Digos di Bari, nella sua ormai celebre intervista del 2006 a “Terra”, si giustificava per non aver infiltrato nessuno nei seminari di Arkeon a raccogliere prove certe adducendo l’estrema chiusura di questi tipi di gruppo Eppure arriva un qualunque CISF che rileva una “apertura pronta e totale”. Di nuovo la risposta più semplice no? Di nuovo si sono venduti per 10.000€? O la spiegazione è che ci siamo presentati a loro “col vestito della festa” per ingannarli e avere un buono studio? In quel caso come spiegare che i contenuti delle registrazioni dei seminari cui assistettero gli studiosi del CISF sono gli stessi delle migliaia di ore di registrazione cumulate in tanti anni col consenso dei partecipanti e a disposizione della Digos?
4. “È stata poi la magistratura a impedirne l’utilizzo”. Di nuovo l’informazione è semplicemente e integralmente falsa. L’Unità stessa documenta come lo studio fosse stato commissionato nell’inverno del 2006, cioè un anno prima che venissero recapitati gli avvisi di garanzia e quando perciò non si aveva ancora nessuna notizia dell'esistenza di indagini in corso. Infine il rapporto in questione è stato reso disponibile nella primavera-estate del 2007, diversi mesi prima del recapito degli avvisi di garanzia. Se in quel tempo, in cui pure la campagna mediatica contro Arkeon era già iniziata, lo studio non venne usato come una certificazione autorevole non è per divieti della magistratura (che ancora non era intervenuta) ma perché sussisteva una clausola contrattuale che proibiva la divulgazione dello studio, che poteva quindi essere utilizzato esclusivamente a fini interni di autovalutazione. Per altro anche questo documento non è stato prodotto dalla difesa e quindi non sussiste tra le carte del processo ma solo nel materiale documentale sequestrato dalla Digos a Moccia. E’ lecito domandarsi di nuovo come faccia ad essere entrato in possesso dell’Unità e per mano di chi?
5. Concludo citando il passaggio personale su Vito.“Vito Carlo Moccia, che tra l’altro è anche accusato di esercizio abusivo della professione, veniva presentato come un genio pluridisciplinare universalmente conosciuto e stimato. Eccone un passo. «Un tempo Vito Carlo era imprenditore nel campo della bioingegneria, realizzato economicamente e riconosciuto nel mondo. Anni fa anch’egli scendeva nel “proprio inferno” prendendo coscienza della solitudine esistenziale che lo investiva. Andò alla ricerca di risposte nelle vie intellettuali, si laureò in antropologia e psicologia, cercò nei percorsi psicanalitici e psicoterapeutici, nelle tradizioni orientali, nella pratica della meditazione, fino a scoprire la via del ritorno al padre». Un identikit che stride in modo sinistro con quanto si legge nel decreto di rinvio a giudizio: «Il Moccia si presentava come laureato alla Jolla University di San Diego e laureato in psicologia e pedagogia presso l’università statale di Fiume, titoli inesistenti e comunque non validi in Italia». Cito questo passo non tanto per rettificare le falsificazione che contiene (Moccia aveva effettivamente fondato un’azienda biomedica di cui è facile verificare i fatturati e la penetrazione e aveva effettivamente conseguito i titoli citati dalla stessa Unità, riconosciuti o meno che fossero in Italia), ma per sottolineare che dire che la prima descrizione “stride in modo sinistro” con la seconda è veramente un’esagerazione meschina. In questi anni ci siamo abituati ai tentativi di denigrazione portati dalla Tinelli ai curriculum di colleghi più apprezzati…ma da un giornalista a un inquisito è una roba davvero un po’meschina!

Prima di chiudere vorrei richiamare l’attenzione su un interessante documento riportato da Bellu: una tabella intitolata ”Uscite” che riporta dei costi relativi agli anni 2006-2009. Si tratta di una previsione di spesa dell’Associazione Sacred Path per i quattro anni successivi. Che sia una previsione e non un consuntivo lo dimostrano sia il fatto che la cifra riportata per il CISF è di 30.000€, mentre come detto e come confermabile dal CISF la cifra erogata fu poi di soli 10.000€, sia il fatto che l’attività dei seminari si è interrotta con gli avvisi di garanzia del 2007. Avendo quei dati, immagino che il sig Bellu abbia anche le tabelle gemelle delle “Entrate”. Se avesse avuto il gusto di guardarle e confrontarle avrebbe porbabilmnente scoperto l’acqua calda: cioè che Sacred Path era un’associazione microscopica, in perdita secca da anni. Alla faccia dell’associazione a delinquere.

mercoledì 14 aprile 2010

Il codice Arkeon?/1


Nei giorni scorsi l’Unità ha dedicato uno spazio enorme al “Caso Arkeon”: due articoli il 9 aprile 2010 (“Da predicatore Vaticano e supporter di Arkeon”, di G.M. Bellu e “Corsi per guarire da tumori o Aids. Le carte dell’accusa” di Ivan Cimmarusti) con una foto gigante di Padre Raniero Cantalemessa in prima pagina e il titolo “Il codice Arkeon”; e un altro articolo il 10 aprile 2010 (“Perizia a pagamento Ecco come Sacred Path ha cercato di ripulirsi” sempre di Bellu), cui si aggiunge una lettera aperta di Padre Raniero all’Unità dal titolo un po' travisato (“Moccia?Lo conosco ma l'ho frequentato solo saltuariamente”).
Il caso è eccezionale perché - nonostante il clamore suscitato in questi anni dal presunto scandalo a base di soldi-sesso-sette, le numerose trasmissioni televisive e i numerosi articoli apparsi sulle principali testate nazionali - è la prima volta che Arkeon finisce sulla prima pagina e non come rimando ad un articolo interno, ma come articolo di testata. Basta guardare la copertina per capire.

E’ evidente che il protagonista negativo degli articoli non è Arkeon ma Padre Cantalamessa e, attraverso di lui, la Chiesa Cattolica. Sua è la faccia in copertina. Ed espliciti sono i parallelismi fatti con gli scandali sulla pedofilia nella Chiesa. Commentando un carteggio tra P.Cantalamessa e persone che gli avanzavano sospetti su Arkeon, infatti, Bellu prima dice: “Il successivo capoverso della lettera è significativo per le analogie che presenta con gli argomenti utilizzati da chi, all’interno della Chiesa, vorrebbe negare il problema della pedofilia. È la tesi del caso singolo” e poi dice: “Non solo non fece alcuna denuncia ma, come abbiamo visto, informò il capo dell’organizzazione. Proprio come quei prelati che, davanti alle denunce di casi di pedofilia, non si rivolsero alla magistratura ma alle autorità ecclesiastiche gerarchicamente superiori”). “Così fanno i preti!”, sembra dire Bellu.

Segnalo la cosa perché è significativa di come il Caso Arkeon sia un conto sul quale ciascuno segna le proprie bevute, un asino a cui tutti caricano la propria soma. Chi cerca vendette e rivalse personali. Chi cerca visibilità professionale e riscatto dalla mediocrità del proprio curriculum. Chi cerca una scorciatoia per una carriera rapida. Chi cerca di cavalcare la vicenda per i propri motivi ideologici, siano essi la questione omosessuale o la questione clericale.

In questo gioco chiunque può essere coinvolto, se torna utile farlo. E se più autorevoli sono le persone che tocca screditare, più grosse saranno le sparate necessarie: nulla è verosimile come il totalmente inverosimile! Nell’ormai quadriennale lotta contro il male rappresentato da Arkeon, la stampa e i suoi astuti imbeccatori hanno progressivamente alzato il tiro, tirando in ballo una serie di persone venute a contatto con Arkeon, ree di averlo sostenuto o promosso: la d.ssa DiMarzio (apprezzata psicologa) per aver incontrato il gruppo; Simonetta Po di Allarme Scientology per aver espresso solidarietà alla DiMarzio e aver criticato il Cesap; Silvana Radoani dell’Asaap, non si è mai capito perché; ora da ultimi Padre Cantalamessa (predicatore della Casa Pontificia) per quelle due interviste; e il Centro Internazionale Studi sulla Famiglia per aver fatto uno studio a pagamento. Ovviamente più alto diventa il bersaglio più grossa e surreale dev’essere l’accusa perché regga. E così se la DiMarzio era diventata “il nuovo guru in pectore” di una setta già sotto la lente di ingrandimento dei media e della polizia, Cantalamessa diventa il protettore di una sgangherata setta di maniaci che disporrebbero di potenti entrature in Vaticano e il Cisf si venderebbe la credibilità per uno studio da 30.000 € su una setta ormai inquisita! Mi limito a considerare che tutte le persone citate non hanno conosciuto direttamente Arkeon e l’unico che lo ha in parte conosciuto (il Cisf) a detta della stessa Unità si è espresso in termini cautamente positivi. Non solo. Sembra che più andiamo avanti, più “i conniventi” con Arkeon siano persone credibili e stimate, mentre gli accusatori di Arkeon hanno dalla propria parte il Cesap, le indagini fatte dal PM sulle carte fornite dal Cesap, gli articoli di stampa sulle carte fornite dal Cesap e la solidarietà di una serie di associazioni di categorie che hanno letto solo le carte fornite dal Cesap.

E aggiungo che a questo gioco tutti hanno interesse a partecipare, tanto non costa niente. Tutti si iscrivono al gioco al massacro perché dà una buona probabilità di guadagni rapidi, se per puro caso la si è imbroccata, e la quasi certezza di nessun costo se si prende una cantonata. In fondo qualcuno ricorda i nomi dei giornalisti che massacrarono Tortora? Credete che qualcuno di loro abbia perso il posto? O credete che lo abbiano perso i poliziotti scriteriati che raccolsero le prove, o i PM invasati o i giudici incompetenti?
Vorrei aggiungere una ultima cosa. Ma qualcuno si è domandato cosa avrebbe avuto da guadagnarne Cantalamessa e/o la Chiesa a sostenere Arkeon? Soprattutto dopo le prime trasmissione televisive di denuncia di presunti reati commessi al suo interno? Se si può comprendere che la Chiesa faccia quadrato attorno a suoi sacerdoti (ammesso che lo faccia), perché avrebbe dovuto esporsi per Arkeon? Per un percorso dichiaratamente nato nel Reiki, disciplina condannata dalla Chiesa? Per un gruppo che – a dispetto dei ventimila adepti ovunque citati, che rappresentavano una stima (secondo me inverosimile) di tutte le persone che almeno una volta avevano fatto un seminario in 15 anni – ai tempi di Cantalamessa raccoglieva forse 300-400 persone? Non c’è una logica in tutto questo! Ma – sembra di capire – non è la logica che interessa Bellu. L’argomento è proprio che “così fanno i preti”, che c’è una sorta di perversione antropologica nella gente di Chiesa (o almeno in gran parte di essa). Un argomento tanto delirante quanto simile alla diversità antropologica dei magistrati di berlusconiana memoria. Come del resto esplicita lo stesso Bellu quando scrive: “L’autenticità di questi documenti - che aiutano a ricostruire quale retroterra culturale e anche spirituale ci sia dietro la clamorosa gaffe su pedofilia e antisemitismo - è certificata”.
Bellu che parla di retroterra culturale e spirituale di Cantalamessa…sono senza fiato!
Per questo, più modestamente, non proverò ad addentrarmi nel retroterra culturale e spirituale di Bellu, ma mi limiterò a provare ad addentrarmi nell’esegesi del “pensiero di Bellu”. Ma nella prossima puntata....

sabato 14 novembre 2009

Arkeon e Gianni Leone: il giornalismo "de noantri"

Sul Caso Arkeon fino ad oggi si sono espresse e ancora si esprimono le voci più diverse: presunte vittime, presunti colpevoli, testimoni, presunte vittime di altre presunte sette, studiosi e presunti studiosi di fenomeni settari e religiosi, osservatori terzi, giornalisti. A questi recentemente si è aggiunta una nuova voce, appartenente si direbbe all’ultima categoria: il signor Gianni Leone della testata "MondoRaro".

Devo ammettere che, non avendolo prima mai sentito nominare, ho cominciato a conoscerlo solo da quando ha cominciato a scrivere di Arkeon.

Gianni Leone è intervenuto una prima volta con un articolo sulla "psicosetta" Arkeon, che in effetti non aggiunge nulla di nuovo a quanto già si sapeva: una lunga introduzione sul concetto di psicosetta (abbastanza vaga e inconsistente), seguita dalla dichiarazione di un’opinione personale certamente interessante (“secondo la mia opinione Arkeon è una psico-setta”) ancorchè non suffragata da alcuna argomentazione, per finire con il riepilogo di una notizia (il rinvio a giudizio di 10 persone di Arkeon) vecchia di un mese e mezzo (in effetti non riporta nemmeno la data degli eventi).

Una seconda volta è intervenuto con un articolo sulla richiesta di rinvio a giudizio di un maestro di Arkeon accusato di stupro (“Sembra proprio che i guai per la setta “The Sacred path”, che promuoveva il “metodo Arkeon” siano lontani dall’avere una soluzione. Il pm di Milano Giovanni Polizzi ha chiesto il rinvio a giudizio del “maestro” xxxxx di 67 anni, accusato di aver violentato due donne”). La notizia, per come è riportata, fa sembrare che si tratti dell’ennesimo maestro beccato con le mani nel sacco, ultimo capitolo di una squallida vicenda. Peccato che:
  • l'accusa (e non è dettaglio di poco conto) sia violenza privata e non stupro;
  • la notizia sia anche più vecchia della precedente (risale addirittura al luglio 2009, più di quattro mesi fa);
  • il maestro non sia l’ennesimo chiamato in causa bensì il primo chiamato in causa dalla famosa testimone apparsa in tutte le trasmissioni TV, quello da cui tutto è seguito;

Ma soprattutto peccato che Leone non riporti la notizia più importante contenuta nelle ANSA originali...cioè che:

  • le accuse riguardavano solo quel maestro;
  • le accuse riguardavano solo due eventi puntuali;
  • tali eventi sono avvenuti non in un seminario ma nella sua dimora privata

Fattori, questi, che dimostrano come i fatti in questione non riguardino né “i maestri di Arkeon” nè “il metodo Arkeon”, bensì solo i comportamenti privati di una singola persona. Un fatto suffragato – e questa è l’ultima notizia che Leone dimentica – dallo stralcio della posizione di questo maestro dal più ampio processo contro gli altri maestri di Arkeon indagati. La notizia quindi conferma esattamente ciò che da anni andiamo ripetendo in tanti (i comportamenti di quel maestro non riguardano il gruppo, ne sono anzi un tradimento) e il contrario della tesi suggerita dal Cesap e apparentemente fatta propria da Leone.

Una terza (e per ora ultima) volta Leone è intervenuto pubblicando la lettera di un’allieva di Arkeon soddisfatta. Lettera alla quale, dopo una prima risposta cordiale che non entra nel merito, segue un vivace scambio di commenti postati sulla pagine internet del giornale con la blogger Fioridarancio. Anche in questo caso Leone dimostra di non essere molto aggiornato sui fatti (cita la chiusura del sito di Raffaella DiMarzio, avvenuta nel marzo 2008, sbagliandone il nome in Patrizia, ma soprattutto dimenticando di citarne la riapertura nell’aprile 2008, ben 19 mesi fa). Il dibattito si conclude infine con un interrogatorio abbastanza surreale di Leone a Fioridarancio (“Lei è per caso la moglie del fondatore di Arkeon?... lei è Patrizia Di Marzio? lei è una adepta o un adetpo di Arkeon?”).

E’ curioso notare che il dibattito non si conclude per esaurimento, nè per una censura, ma in quanto a causa di “un problema al software sono misteriosamente spariti circa 40 commenti postati dagli utenti e dalla redazione. Ci scusiamo per il disagio, ma non sappiamo dare una spiegazione a questa “misteriosa” sparizione, che ha “colpito” anche la redazione”. Leone definisce la sparizione “misteriosa” (suo il virgolettato), alludendo (credo) all’ipotesi che qualcuno di Arkeon fosse interessato alla sparizione di un dibattito sgradito. In effetti la sparizione appare misteriorsa, ma più che altro perché uno penserebbe che un giornale abbia un back up del sito da cui recuperare i post (ce l’ho persino io su questo bloggetto artigianale). In ogni caso per fortuna qualcuno di Arkeon (Pietro) ha salvato e ripubblicato i post sul proprio blog: siamo quindi convinti che il fatto che i post manchino da diversi giorni sia solo una questione di ritardi tecnici e non certo di censura di alcun tipo.

Bisogna dire che alcuni dubbi in tal senso (censuretta) potrebbero sorgere a vedere la politica di trasparenza adottata da Leone: dopo aver asserito il principio “libertà di postare anonimamente da parte degli utenti. Libertà di non rispondere da parte mia”, dice a Fioridarancio che “o lei si qualifica oppure non le verrà più consentito postare commenti”; sceglie di cancellare i link postati sul suo giornale dai sostenitori di Arkeon (“la redazione ha deciso di oscurare, tutti quei link immessi dagli utenti, che portano a siti che promuovono il metodo incriminato”) quasi fosse un esponente del mondo antisette o un membro della digos e non un giornalista che riporta le informazioni, magari per smontarle (per esempio sul sito il caso arkeon il sito del cesap è linkato in diversi punti!).

Si potrebbe anche pensare che tale atteggiamento nasca da un pregiudizio di Leone contro Arkeon, un’indisponibilità a priori a valutare l’ipotesi che ci possa un pezzo della verità che non è nelle carte della Digos e che ancora lui non conosce…ma come pensarlo quando Leoni si limita a contestare “…le diarree mentali di un gruppo settario e per giunta sotto processo” e ribadisce che “I miei giudizi si basano su denunce e documenti e non su stronzate e deliri vari come quelli proposti dal “metodo Arkeon”?!

Comunque, a tirar le fila, pur non condividendo le idee di Gianni Leone, non trovo che nei suoi confronti si possano dire cose più gravi che non l’essere una persona dai modi sgarbati e un giornalista dalle informazioni poco aggiornate e poco interessato a vagliarle. Certo c’è una questione seria ancora aperta: se cioè almeno quelle informazioni che dice avere (ancorchè parziali) davvero le ha o le millanta soltanto. Mi riferisco a quando asserisce “ho copia della relazione della digos del 2008 e altri documenti. Quindi parlo con documenti alla mano…giornalisticamente parlando, saranno i lettori a formarsi un’opinione; anche dopo che pubblicherò il prossimo articolo su Arkeon, spiegando maggiormente…”. Speriamo che quell’articolo e quelle informazioni finalmente escano, se no si potrebbe pensare che Leone pubblichi informazioni datate perché – non avendo informazioni proprie – debba aspettare di leggerle dai giornali degli altri. Come si diceva …la loro opinione!

giovedì 5 novembre 2009

La loro opinione

Oggi ho trovato in rete un giornale online che pubblica un articolo critico su Arkeon. Lo cito non perchè lo trovi particolarmente rilevante, nel bene o nel male, ma perchè mi sembra un ottimo esempio di quel giornalismo per sentito dire che impazza in rete. Riporto qui lo scambio intervenuto col giornalista.
Per chi fosse interessato segnalo, sullo stesso magazine, un altro intervento - a mio dire delirante - sui testimoni di Geova, in cui vi invito a leggere lo scambio con altri lettori. Noterete che l'argomento del giornalista nel rispondere alle critiche è sempre lo stesso: "non faccamo paragoni che mostrino le incoerenze di ciò che dico".
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KLEE.
Salve

Nel suo articolo lei fa una lunga introduzione sul concetto di psicosetta “per arrivare a dire, che secondo la mia opinione Arkeon è una psico-setta, controversa e sicuramente con qualcosa di poco chiaro, datosi che è stata ed è oggetto di indagine”.

Mi sembra, tuttavia, che la sua definizione di psicosetta sia piuttosto confusa. I concetti che lei afferma essere due elementi standard delle psicosette (l’indottrinamento e l’isolamento) sono infatti definiti in modo talmente vago che potrebberso adattarsi perfettamente (ad esempio) alla conversione dei santi e alla vita di clausura:
1) indottrinamento: “distacco totale dai vecchi valori (S.Francesco che rinnega la ricchezza e la carriera d’armi); sottoposizione a metodi e letture di difficile comprensione (ha mai letto l’apocalisse di S.Giovanni?); incoraggiamento al rispetto della gerarchia e dell’obbedienza, della fedeltà , adeguento alle regole della congrega (ca va sans dire!)”.
2) isolamento: “sradicamento del soggetto dal contesto famigliare (pensi alle monache di clausura); rimuovere la propria privacy e “confidarsi” con gli altri adepti (pensi alle monache di clausura); in qualche psico-setta poi vi è anche una dipendenza finanziaria (pensi alle monache di clausura).

Inoltre, quando anche si condividesse la sua definizione di psicosetta, essa sembra pensata sul caso Scientology, mentre sembra adattarsi molto poco al caso Arkeon che lei porta ad esempio. E’ arduo comprendere infatti quale possa essere l’isolamento in un percorso basato non su una comunità, ma su seminari di due giorni che si tengono 3 o 4 volte l’anno (quanto all’indottrinamento mi sono già espresso).

Tutto ciò mi spinge a credere che quella che lei chiama “la sua opinione” sul caso arkeon non sia basata su una conoscenza diretta di Arkeon, ma più probabilmente su fonti indirette: probabilmente ciò che viene riportato da articoli di altri giornalisti o pareri di alcuni “studiosi” (per altro parte in causa nella vicenda Arkeon). Cioè la sua opinione sarebbe in effetti la loro opinione.

Forse ha letto anche gli atti giudiziari del rinvio a giudizio degli indagati di Arkeon e magari alcune testimonianze delle presunte vittime. Anche se questi vengono di solito chiamati fatti, in effetti non lo sono: un rinvio dice solo che l’accusa crede ci sia un reato e le testimonianze dicono solo che il testimone afferma delle cose…purtroppo la cronaca giudiziaria è piena di PM che prendono cantonate e di testimoni confusi o che dicono il falso. Si può parlare di fatti quando si arriva alla fine di un processo. E anche allora si parla solo di verità giudiziaria.

Molti giornalisti, nei tre anni intercorsi dall’inizio di questa vicenda, si sono messi in fila a spiegare a chi era venuto prima che cosa sono le psicosette e cosa avevano capito di Arkeon. Giornalisti di primo piano e giornalisti della domenica. Se volesse produrre un contributo diverso e non semplicemente accodarsi, potrebbe provare a cercare riscontri anche dalla controparte. Perché il punto non è se le sette o le psiscosette esistano: è se l’idea astratta che ce ne siamo fatti c’entri qualcosa con le singole realtà che ci capitano davanti agli occhi e che magari sembrano assomigliargli. Nel caso la rinvio alla lettura del sito http://ilcasoarkeon.wordpress.com/


GIORNALISTA
Salve,
i miei articoli li firmo e metto anche la faccia. Lei contesta le mie opinioni rimanendo anonimo. Legittima scelta sia ben chiaro, però se oggetto della critica è ciò che scrivo, si dovrebbe presentare, almeno per una forma di cortesia…
Sinceramente il suo intervento retorico e fine a se stesso, inoltre non vedo perché lei debba fare un paragone tra Arkeon, Scientology e la Chiesa. Sono tre cose distinte e trovo inappropriato il confronto. Per quanto sia dichiaratamente in polemica con Scientology NON ho mai fatto nessun confronto con altri gruppi, congreghe o comunità religiose.
In questo articolo si parla di Arkeon. Se interviene sull’argomento non ci sono problemi, se continua a fare paragoni inappropriati, i suoi commenti non verranno pubblicati.

Cosa vuole che le dica? Lei è libero di rimanere anonimo e di criticare i miei articoli. Però se vuole una risposta dal sottoscritto in merito alle sue affermazioni, deve presentarsi.
Cordiali saluti.

KLEE
Il mio non è un intervento retorico. Le chiedo se – nel momento in cui afferma di essersi fatto un’opinione e in cui scrive su una testata pubblica questa sua opinione – possa chiarirmi su quale base si sia fatta tale opinione. Perchè da ciò che dice traspare che verosimilmente lei non ha una conoscenza diretta ma solo indiretta di ciò di cui scrive. E allora vorrei capire se le sue fonti indirette sono la stampa (io dico che lui dice che essi dicono…) o se ha consultato qualche documento.

Direi invece che IL SUO è un articolo retorico. Fa affermazioni, come quelle già riportate, talmente vaghe da potersi attagliare alle situazioni più disparate. E quando le si riportano alcuni esempi terzi che APPUNTO non dovrebbero centrare niente ma che rientrano benissimo nelle sue definizione, per evidenziarne la genericità, lei dice che non è pertinente. Se non condivide nel merito, mi risponda nel merito.

http://klee2009.blogspot.com

lunedì 12 ottobre 2009

La famiglia, la comunità e Arkeon

“In un mondo in cui la maggior parte della gente fa un lavoro non solo insoddisfacente ma anche profondamente stressante, con tutte le sue pressioni; in un mondo in cui non c’è niente di più raro di un qualcosa che assomigli a una comunità, noi scarichiamo tutti i nostri bisogni su una relazione o ci aspettiamo che essi vengano soddisfatti dalla famiglia. E poi ci meravigliamo se la relazione e la famiglia si sfasciano sotto tanto peso (…) Per decine di migliaia di anni nessuna famiglia è mai stata autosufficiente. Ogni famiglia era un’unità funzionale, parte di una più ampia unità funzionale che era la comunità - la tribù o il villaggio. Le tribù e i villaggi erano autosufficienti, non la famiglia. E non solo tutti lavoravano insieme, ma giocavano, pregavano insieme, di modo che il peso della relazione, del significato, non era confinato alla famiglia, né tantomeno a una relazione romantica, ma era ripartito su tutta la comunità. Fino alla Rivoluzione industriale la famiglia è sempre esistita in quel contesto”.

Queste parole le scrivono J.Hillman (uno dei più grandi psicoterapeuti viventi) e M.Ventura (scrittore giornalista) nel loro libro intervista del 1992 “Cent’anni di psicanalisi…e il mondo va sempre peggio”.

Ma questo era anche e proprio il senso del lavoro collettivo in Arkeon. Quello che Pietro riassume benissimo nel suo ultimo bellissimo post quando dice: “Ma ciò che rendeva per me speciale questo lavoro era il fatto che le persone e le famiglie si permettevano di condividere con le altre presenti questa fragilità e questa bellezza. Riconoscendo tutto questo come un dono. E un dono ancora maggiore, quello di poterlo condividere. Così le cerimonie. Quella per le coppie di sussurrarsi, dirsi, a volte gridarsi tra le lacrime, l’amore in pubblico, vincendo un naturale e pudico imbarazzo, non aveva prezzo. E che dire di quei bimbi alzati al cielo, in segno di gratitudine alla vita, a Dio ed ai nostri familiari che a Lui sono tornati?”

Arkeon era soprattutto - almeno per me - quello spazio di intimità tra le persone che creava una comunità non di persone ma di anima. E ho rivisto le tante famiglie, coppie di sposi e genitori e figli e nonni, che in quello spazio potevano incontrare altre persone come loro che attraversavano i loro stessi problemi, mostrando loro talvolta una possibilità diversa di rispondere. Una pedagogia attraverso cui le persone imparavano per empatia il linguaggio dell’amore e della vita, così come i bimbi imparano il linguaggio delle parole per desiderio di condividere e per imitazione.

A questo ho pensato alcune settimane partecipando al matrimonio di un giovane cugino. Al termine di una cerimonia molto semplice e molto bella, il sacerdote ha chiamato sull’altare i quattro genitori degli sposi, spiegando che quel matrimonio si celebrava anche grazie a loro e chiedendo loro di lasciare il proprio messaggio ai novelli sposi. Nessuno se lo aspettava, men che meno i genitori. Le due madri, come spesso capita, hanno accolto la sfida e si sono permesse di aprire il proprio cuore con poche parole semplici di augurio e responsabilità: “noi abbiamo iniziato 40 anni fa…ora tocca a voi”. I padri, come spesso capita, hanno invece nascosto nel silenzio i propri sentimenti, frenati dall’imbarazzo.
Molti hanno criticato il sacerdote, perché non si deve mettere in imbarazzo la gente…e forse avevano anche ragione. Ma dal lato mio ho sentito la cosa diversamente. Ho sentito che il sacerdote aveva chiesto ai genitori di guardare non alla folla tra i banchi ma ai loro ragazzi sull’altare, a valutare non il giudizio della gente ma l’ingenuità dei propri figli ed ad esporsi per gli uni e per gli altri, per fare comunità attorno a loro, per dichiarare che due sposi non sono soli ma sono un anello di una lunga catena, che trascende la propria famiglia.
Ho sentito dolore per il silenzio di quei padri, che non hanno trovato il modo di parlare né a se stessi né ai propri figli.
E ho sentito la distruzione dell'esperienza dei seminari di Arkeon, grezzi e imperfetti com'erano, come uno sfregio alla vita e alle sue possibilità.

In questi anni mi sono spesso domandato come sia possibile che persone che hanno conosciuto tutto questo possano averlo …dimenticato? In questi giorni parlavo con un caro amico di lunga data che, indipendentemente da me e per altri cammini, approdò anni fa ad Arkeon, con un maestro diverso dal mio, restando affascinato da quest’esperienza. E che a seguito degli eventi intercorsi, senza rinnegare nulla di quanto fatto, ha però sviluppato una posizione che penso di poter definire più amareggiata che critica. Amareggiata non tanto per la natura del lavoro, quanto per le contraddizioni evidenziate dal suo maestro nel proprio modo di comportarsi nelle relazioni personali. Al termine di una lunga telefonata la sua frase conclusiva è stata “…e queste erano le persone che dovevano portarci da qualche parte?”.
Ciò che gli ho risposto, e che ho sempre pensato, è che nessuno portava nessuno da nessuna parte, ma che semplicemente ciascuno usava quell’esperienza per farsi il proprio percorso. E che, anzi, proprio “l’inadeguatezza” di alcuni maestri – come il suo – erano la prova che i risultati erano il frutti del lavoro degli allievi, non dei maestri. Riprendendo quella frase chiave del Vangelo citata ancora nel post di Pietro: “la loro fede li ha salvati…”. Nei seminari la si chiamava “affidamento” e anche se si diceva che era l’affidamento al maestro, questo non era che lo strumento…l’affidamento vero essendo quello alla vita. Il che non significa che i maestri non avessero un ruolo…ma significa che i frutti o l’assenza di frutti discendevano per ciascuno dalla propria scelta su di sé e che l’esperienza condivisa diventava quell’opportunità che ciascuno dava a sé e agli altri, potendo trascendere la propria storia personale, potendo decidere se vivere una vita all’ombra delle proprie eredità e delle relative giustificazioni o viverla alla luce di una possibilità futura da costruire, in cui il passato non è più una catena ma l’esperienza attraverso cui mi sono reso pronto al domani.

giovedì 24 settembre 2009

Il caso Moro

In questi giorni sulla stampa italiana sono usciti due articoli estremamente interessanti, inerenti il caso Moro.

Il primo, intitolato “Lo psicologo: Moro non era un pauroso”, è uscito su Avvenire e recensisce un libro dello psicologo Rocco Quaglia (“Due volte prigioniero. Un ritratto psicologico di Aldo Moro nei giorni del rapimento”, ed.Lindau) che rilegge le famose lettere dal carcere di Moro non in chiave storica o politica ma psicologica, per capire chi fosse il Moro prigioniero e quale fosse il senso delle sue lettere.
Per chi non avesse mai letto queste lettere, consiglio vivamente la lettura di un altro libro sulle lettere di Moro uscito un anno fa, “Lettere dalla prigionia” dello storico Miguel Gotor (ed. Einaudi) che tratta lo stesso tema in chiave squisitamente storica.

Il secondo, intitolato “'Io boss, cercai di salvare Moro”, è uscito su L’Espresso e riporta una scioccante intervista al pentito della 'ndrangheta Francesco Fonti (lo stesso che ha recentemente rivelato il caso delle navi di rifiuti nucleari affondate al largo delle coste del Sud Italia) che rivela come, su richiesta di parte della Democrazia cristiana, cercò la prigione di Aldo Moro durante il suo rapimento - entrando in contatto con il Sismi, la banda della Magliana, Cosa Nostra e addirittura il segretario Dc Benigno Zaccagnini - fino a quando gli fu chiesto di desistere perché “da Roma i politici hanno cambiato idea: dicono che, a questo punto, dobbiamo soltanto farci i cazzi nostri”.

Queste tre fonti insieme rivelano un quadro tanto scioccante quanto accessibile agli occhi di tutti, non solo sul funzionamento della politica e della società italiana, ma anche e soprattutto sulle dinamiche di costruzione e/o distruzione di un uomo, di un progetto, di una storia.


L’introduzione al libro di Rocco Quaglia riportata nell’articolo (il libro ancora non l’ho letto) sviscera il modo in cui diversi esponenti politici di allora – e dietro loro input larga parte dell’opinione pubblica - abbiano letto le lettere di Moro in una chiave del tutto distorsiva. L’insistita richiesta di Moro allo Stato e alla DC di intavolare una trattativa per lo scambio di prigionieri è stata di volta in volta letta come frutto del cedimento dell’uomo al terrore della morte o del condizionamento psicologico dei carcerieri. Già il libro di Gotor metteva in luce che la richiesta di Moro era politicamente sensata, basata su ampi precedenti nella politica nazionale e internazionale e soprattutto sostenuta da un argomentare lucido, razionale e sottile come non mai, con ciò dissipando l’idea di un Moro “plagiato”. Gotor tuttavia, da storico serio e rigoroso, esplicitamente dice di non volersi addentrare in questo tema, non di sua competenza, ed altrettanto esplicitamente sceglie di non addentrarsi nella ricerca delle responsabilità della morte di Moro, per non aprire il sarcofago di tante teorie complottiste sulla recente storia d’Italia.

Ora la prima mancanza viene colmata dal libro di Quaglia che, ripercorrendo il contenuto e il tono delle lettere, conferma come la richiesta di salvezza di Moro non fosse animata dal terrore della propria morte, rispetto alla quale risulta anzi estremamente libero, ma dalla premura per quella famiglia di cui era perno centrale. Famiglia affettiva (moglie, figli e il nipotino Luca) e famiglia politica (una DC in grave difficoltà in quella fase). La sua non è una battaglia per la propria vita, ma per la vita della propria famiglia, del proprio paese e soprattutto per l’affermazione di quella civiltà politica e cristiana che non ha dubbi a mettere la sacralità della vita prima di una presunta e limacciosa “ragion di stato”.
In quel contesto matura il divorzio di Moro dal proprio partito, accusato non di tradire lui ma di tradire la propria anima e di non essere più né democratico né cristiano. E in quel contesto matura la risposta della DC che, messa pubblicamente a nudo dalle lettere di Moro, sceglie di mettere in discussione non se stessa ma il proprio accusatore, avvalorandone in tanti modi un’immagine di uomo piegato, plagiato, confuso e quindi delegittimandone la dignità e le parole. Moro non è più lui, non è più lo stesso uomo. “Questo intende il libro quando definisce Moro «due volte prigioniero»: delle Brigate Rosse e dell’immagine che di lui venne ostinatamente diffusa, vale a dire di una persona incapace di dominare l’emotività e preda dell’istinto di sopravvivere”.
Il libro di Gotor è concorde su questo punto e aggiunge che la distruzione politica e umana di Moro agli occhi del pubblico è stata una scelta politica esplicita e dolorosa dei vertici di allora, utile ad abbassare il valore di scambio di Moro nella trattativa con le Br per facilitarne la liberazione. Una scelta cinica e allucinante, invero, che non solo rendeva Moro un uomo morto (un ostaggio senza più valore non viene liberato ma ucciso), ma soprattutto rispondeva alle più profonde domande di Moro sull’anima dello Stato annientando la domanda e il suo latore.

Il passaggio che più mi ha colpito della ricostruzione di Quaglia è però questo:“Moro, dunque, si dichiarò «in piena lucidità e senza avere subito alcuna coercizione della persona». Protestò la sua completa padronanza di sé sia per favorire le trattative, sia per tranquillizzare la famiglia. La risposta del governo arrivò immediata e spietata: Moro è divenuto un altro, la prova è nella sua dichiarazione di sanità mentale”.

Questo è il passaggio chiave. Chi dice la verità, se la verità è inaccettabile, è semplicemente un folle. Il fatto che non lo riconosca è la dimostrazione che è folle. Così il cerchio si chiude, come un cappio, attorno alle possibilità di Moro di sopravvivere. Qualunque cosa lui dica non avrà valore. E con lui viene cancellato e reso inattendibile chiunque la pensi come lui, sia essa la famiglia, gli amici, i colleghi, tutti evidentemente intrappolati nell’istinto di protezione del proprio caro. E il messaggio diventa chiaro a chiunque attorno veda e capisca: “fatti i cazzi tuoi!”

Questo è – guarda caso – il consiglio dato al pentito di ‘ndrangheta che voleva salvare Moro, come riportato nel secondo articolo, che colma la seconda reticenza del libro di Gotor. In particolare esso conferma il sospetto, cui si allude nel libro di Gotor senza calcare troppo la mano, che Moro sia stato abbandonato e volontariamente sacrificato da una parte del mondo politico di allora su un altare di convenienze vaste. Il punto chiave è quando il pentito - chiamato dalla DC per aiutarli a trovare Moro, entrato per questo in contatto con il Sismi, la banda della Magliana, Cosa Nostra e addirittura il segretario Dc Benigno Zaccagnini- quando si reca dal suo contatto ai servizi segreti per indicare il covo di via Gradoli si sente dire appunto di desistere perché “da Roma i politici hanno cambiato idea: dicono che, a questo punto, dobbiamo soltanto farci i cazzi nostri”. Che questa sia la situazione lo conferma la dichiarazione di un appuntato che collabora alle ricerche, secondo cui “Non distinguo più tra chi mi vuole aiutare e chi cerca di farmi girare a vuoto. In più c'è la guerra politica, con i socialisti che vogliono vivo Moro, e gran parte della Dc che finge di volerlo liberare”. Certamente c’è stato qualcuno che ha voluto liberare Moro e probabilmente all’inizio non erano pochi…ma le cose sono cambiate quando Moro ha messo lo Stato e la DC di fronte al proprio vuoto, al simulacro di giustizia che interpretavano, quando in sostanza il bambino ha detto che il re è nudo. La loro sconfessione da parte di Moro è esplicita nelle stesse lettere di Moro, che preannuncia le proprie immediate dimissioni dalla DC.

Perché ho parlato di tutto questo?

Perché è un tema che personalmente mi interessa molto.

Perché è un tema importante per la vita collettiva nazionale.

E perché credo che sia sintomatico di come si possano manipolare e strumentalizzare l’opinione pubblica, sacrificando le persone, distorcendone le idee e distruggendone l’immagine, manipolando abusando e deviando il lavoro dei servitori dello Stato, allo scopo di far prevalere una tesi. Non intendo fare un paragone di livello ma di metodo, quando dico che un lavoro simile è stato fatto in questi tre anni nella vicenda Arkeon.

Quando leggo dell'accusa di plagio o connivenza mossa ai vari sostenitori convinti per quanto critici di Arkeon, non posso non pensare che funziona come quella stessa mossa a Moro di non essere più lui.

Quando leggo che la polizia aveva fatto "un primo sopralluogo in via Gradoli 96, perquisendo tutti gli appartamenti tranne quello affittato dalle Br, dove l'inquilino non ha risposto al campanello e gli agenti se ne sono andati", non posso non pensare alle dichiarazioni di quel dirigente della Procura di Bari che diceva di non poter infiltrare personale nei seminari di Arkeon per raccogliere prove effettive e conclusive delle accuse mosse.

Quando leggo che “Moro è divenuto un altro, la prova è nella sua dichiarazione di sanità mentale”, non posso non pensare alle argomentazioni del PM secondo cui il costituirsi di Arkeon come associazione registrata è la prova dell’associazione a delinquere. O alla terra bruciata che la Tinelli e i suoi affiliati hanno tentato di fare attorno a chi cerca di passare un’altra verità denunciando alla polizia i commentatori esterni (DiMarzio, Radoani, Martini), cercando di zittire chi parla in favore di Arkeon (la segnalazione al PM da parte della Tinelli di Fabia, la richiesta di intervenire a zittire i blog di Pietro e Cosimo) e provando a screditarli preventivamente presso terzi (basti l’intervento n° 22 sul blog di Risè che dice “Sudorepioggia, cosimo, pietro … sono tutti membri di Arkeon che sponsorizzano solo gli aspetti positivi, ribaltando volutamente la realtà”...senza neanche entarre nel merito).

Ma soprattutto non riesco a non pensare che come la distruzione politica e morale di Moro (che ha portato alla sua morte) è stata funzionale a sotterare con lui le domande che aveva posto alla DC e allo Stato dal carcere, allo stesso modo la distruzione giuridica (per ora solo tentata) e morale di Arkeon (che ha portato alla sua morte) è funzionale a proteggere un complesso di indagini svolto fino ad oggi a senso unico, senza mai sentire gli indagati, senza mai verificare l’esistenza dei movimenti finanziari che sarebbero dovuti derivare da questa presunta associazione a delinquere e che nivece non ci sono, senza mai verificare la credibilità di testimoni e consulenti discussi e discutibili.

Cui prodest, ognuno lo valuti da sé.

giovedì 10 settembre 2009

Il destino e la ricerca

Mi ha molto colpito, oggi, leggere il post di S&P sul destino di un uomo e poi quello di Raffaella Di Marzio sulla testimonianza di un uomo dal destino incredibile. In simultanea tra loro. E in sintonia coi pensieri che agitano questi miei ultimi mesi, in cui mi interrogo sul senso della mia vita.

Il senso che so darle? O quello che so accogliere?

Sono convinto che ciò che ho nel cuore ce l’ha messo Dio, per cui in astratto non c’è contraddizione. Ma in concreto? Nel cuore c’è anche tanta roba che non c’ha messo Dio ma a cui probabilmente tengo molto: desideri, ambizioni, paure, idee fisse. Possono entrare in conflitto?

E se poi capita, come capita, che la tua spinta – anche quella che venisse da Dio – ti porta apparentemente in un vicolo cieco? Se i tuoi desideri, i tuoi talenti, ciò che più intimamente senti di essere e di poter dare improvvisamente sembra esserti precluso? Dio fa anche questi scherzi! Certo, col senno di poi è tutto chiaro…ma prima? Ad Abramo chi glielo spiegava perché dovesse sacrificare Isacco?

Non è questione di voler fare la volontà di Dio perché si è bravi ragazzi. Né è questione di cercare di “ridurre il dolore” accettando i rovesci della vita. Chiunque abbia sperimentato anche solo una volta che la vita sa nascondere grandi rinascite dietro grandi sconfitte, al solo patto di saper “mollare la presa”, sa che è più semplicemente questione di essere in pace con se stessi e quindi con gli altri…di andare incontro alla vita per ciò che si è ma lasciandosene anche plasmare.

Mi colpiva molto quando S&P distingueva tra la maggior facilità di accettare le implicazioni del destino di padre e la difficoltà di accettare le implicazioni del destino di uomo. Forse, mi viene da pensare, perché il primo ti porta oltre te stesso e restituisce un senso più grande e più vero alle cose…mentre il primo in qualche modo si compie nella propria solitudine, nella sfida di conoscere se stessi trascendendo se stessi.

Non ho risposte per questo, non per me e quindi per nessuno.

L’unica cosa che so è che nella mia vita, quando ho toccato questi punti di “crisi”, ho sempre sentito di dover cercare dentro di me passando attraverso l’esperienza dell’altro, dell’incontro col diverso.
Questa, per me, era l’esperienza di Arkeon. Che veniva da prima di Arkeon. E che continua dopo.
E’ l’esperienza di essere umano. Di sollevare una domanda…e non deporla.